Il ciclone DANA che ha travolto Valencia: cronaca di una morte annunciata?

Il 29 ottobre 2024 la provincia di Valencia è stata fortemente colpita dal ciclone DANA, acronimo che sta Depresión Aislada en Niveles Altos, e cioè quel fenomeno meteorologico associato a piogge torrenziali che sembra aver spazzato via tutto. Soprattutto in comuni come quello di Paiporta, dove ogni angolo è ricoperto di fango e devastazione. Eppure le prime previsioni dell’AEMET, l’agenzia meteorologica statale, erano iniziate ad arrivare una settimana prima. Risale a mercoledì 23 ottobre la diramazione del primo avviso speciale, da parte dell’Agencia Estatal de Meterología, che prevedeva l’alta probabilità di fenomeni avversi da lunedì 28 nelle zone di Murcia e Valencia. Allora cos’è che è andato storto? Perché si parla di avvisi arrivati troppo tardi? Sono tante le domande che sorgono sulla gestione del fenomeno, tuttavia la risposta degli spagnoli è una sola: «solo il popolo salva il popolo».


di noemi de rosa


In un tiktok girato dall’infermiera valenciana Lucia Segui, diventato ormai virale sui social, si ha una prima cronistoria di quella che sembrerebbe una tragedia annunciata. Sono le 19:38 quando l’acqua inizia ad accumularsi tra le auto bloccate nel traffico cittadino sotto il balcone di Lucia. Nel giro di dodici minuti, alle 19:50, la situazione è già fuori controllo: l’acqua è arrivata nelle abitazioni, i lampioni sono ormai fuori uso e le auto vengono trascinate dalla corrente. Sono passate le 20 quando sui cellulari suona l’allerta, ma è ormai già tardi. 

Su twitter @enferme_rota, una cittadina della zona di Feria Valencia condivide un’altra cronistoria di quel “fatidico martedì”. Racconta di come alle prime ore del mattino di quel 29 ottobre ci siano stati rovesci e di come, per il resto della giornata, abbia piovigginato a malapena, seppur con raffiche di vento notevoli. Sta chattando su whatsapp con una sua amica di Paiporta, un comune distante dieci minuti in auto da casa sua, quando alle 18:34 riceve le prime immagini del fiume che, come appare evidente dalle immagini, è ad un soffio dall’esondazione: la corrente è di 2000m3 al secondo. Mezz’ora dopo, alle 19:07, riceve dalla stessa amica un video del ponte di Picanya che viene trascinato via dalla piena del fiume. A Feria Valencia l’acqua non arriverà, ma sono attimi concitati. In un tweet la stessa utente scrive: «qualcuno pensa davvero che se la popolazione fosse stata avvertita di questo sarebbe andata a spasso come se nulla fosse? Il mio popolo è in una situazione che si sarebbe potuta evitare, magari non del tutto, però con un avviso se ne sarebbero potuti minimizzare gli effetti».

A dirlo non sono solo dei cittadini amareggiati, ma anche l’Organizzazione Meteorologica Mondiale secondo cui, quando la popolazione viene allertata con almeno 24 ore di preavviso è possibile ridurre del 30% i danni provocati dai disastri naturali. I sistemi di allerta precoce sono fondamentali. In questo caso, sebbene il primo avviso da parte dell’AEMET sia arrivato con sei giorni d’anticipo, la previsione e gestione dell’allerta non è stata efficace. Nella giornata di martedì 29 ottobre è stato comunicato tutto ed il contrario di tutto. Alle 06:42 del mattino l’AEMET lancia un’allerta arancione per forti piogge in diverse zone della provincia di Valencia, livello che alle 07:37 diventa rosso nell’entroterra nord della provincia. Alle 10:00 l’AEMET e il Centro di Coordinazione delle Emergenze estendono l’allarme rosso a tutta la costa di Valencia. Nelle ore che seguono il burrone di Chiva, le cui acque convergono anche con il Poyo, straripa. Sono le ore 13:00 quando Carlos Mazón, presidente del Centro di Coordinazione, annuncia che il peggio è ormai passato e che l’intensità della DANA andrà via via diminuendo. 

Dalle 13, e cioè dopo il via libera, la vita ha ripreso a scorrere nella costa centro-orientale spagnola. Le persone si sono incontrate per strada, hanno affollato bar, farmacie e centri commerciali. Come il centro Bonaire, situato ad Aldaya, diventato tristemente famoso nelle ultime ore per il suo parcheggio sotterraneo da 1.800 posti auto: è stato ribattezzato “il parcheggio della morte”, dopo l’intervento dei sommozzatori che lo hanno definito “un cimitero”. Questo perché, probabilmente, quando alle ore 20:12 è suonato l’allarme il primo istinto di coloro che affollavano il centro è stato quello di andare via, senza sapere che era già troppo tardi. Sono bastati, infatti, pochi minuti affinché il parcheggio sotterraneo si trasformasse in una vera e propria piscina di fango, una trappola senza possibile via d’uscita.

Un utente su twitter, @valverdismoCdA, scrive che la prima cosa che si nota non appena si arriva nei luoghi colpiti dalla “goccia fredda” è l’odore. «Legno marcio, sughero e colori chimici che gocciolano al suolo. C’è odore di decomposizione». Un secondo particolare che emerge dalle diverse testimonianze è una grande assenza: quella delle istituzioni che, proprio come quell’avviso delle 20:12, arrivano troppo tardi. Il sindaco di Aldaya, Guillermo Luján Valero, ha denunciato una totale mancanza di aiuto da parte di chi ha le sorti di questo paese tra le mani. Una delusione condivisa anche dai cittadini di Paiporta che durante la visita istituzionale del 3 novembre da parte dei re di Spagna, il premier Pedro Sanchez e Carlos Mazón, hanno espresso la propria rabbia lanciando palle di fango. Un popolo martoriato che, al cospetto della regina Letizia, ha chiesto a gran voce: cosa siete venuti a fare se siamo già morti?

L’ira del popolo è stata tale che l’auto con cui il premier Pedro Sanchez ha provato ad allontanarsi è stata presa d’assalto: calci, insulti e bastonate per il leader del partito socialista. Il malcontento che avrebbe scatenato l’ira popolare è stato generato dalla sua affermazione «se avete bisogno di più aiuto, chiedetelo». Un’uscita infelice, soprattutto se si considera che durante l’esondazione aragonese del 2015 il suo approccio fu completamente diverso. All’epoca i morti furono due e Sanchez non era ancora premier (lo diventerà nel 2018) quando ai microfoni dei giornalisti disse: «abbiamo bisogno di un governo che coordini e non si rintani nella Moncloa. Cosa deve accadere affinché Mariano Rajoy [ex primo ministro di Spagna, ndr] si sporchi nel fango?». Intanto, lungo la scia di detriti e poltiglia che la DANA si è lasciata dietro, resta la disperazione di chi ha perso tutto.

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«Ho cercato forze speciali, qualche autorità ma cosa ho visto? Quattro militari che probabilmente avevano la mia stessa età o erano più giovani. Non un solo veicolo pesante, a parte i trattori agricoli ed un camion dei pompieri. È il quinto giorno dalla DANA». Davanti a questo vuoto ed alla sensazione di essere rimasti soli davanti a tanta disperazioni, è il popolo stesso che si mobilita nelle località più colpite e si rimbocca le maniche. Spalando fango con qualsiasi mezzo, nonostante l’inesperienza e la totale mancanza di protezioni adeguate. Dalle prove di contaminazione è emersa, infatti, una forte carica di proliferazione batterica. Ancora una volta, sono i volontari stessi a fare la differenza: spargendo il più possibile la voce e mobilitandosi muniti di guanti, mascherine e bottiglie d’acqua. Chi è riuscito a passare oltre i controlli non si è mai fermato e pur di spalare via il fango, sono stati persino ribaltati i tavoli in mancanza di pale e spala fango. Gli agricoltori sono arrivati con i propri mezzi pesanti, facendo il possibile per liberare le strade mentre, chi ne ha la possibilità, sta facendo grandi scorte di medicine, cibo, acqua e torce per distribuirle a chi da giorni vive senza corrente né acqua. Lo testimonia anche una cittadina di Cartarroja, in un tiktok pubblicato da @nachpe: «voglio che si sappia che se non fosse per i volontari che vengono da fuori, saremmo morti di fame. A noi non è arrivato niente: né cibo né acqua, se non fosse per i volontari che arrivano da ogni parte, noi di Cartarroja non avremmo di cosa mangiare. Che lo sappia tutta la Spagna e tutto il mondo».

Per le strade si incontrano veicoli con una X apposta sul parabrezza: si tratta di quelle auto, diventate trappole mortali, dove sono stati rinvenuti dei cadaveri. Nei quartieri colpiti «i vicini parlano per strada e si chiedono l’un l’altro dei morti. La polizia, quando è presente, disperde i gruppi [dei volontari] e li rimanda a casa». Nel frattempo, in mezzo all’eroismo di tanti, non mancano gli sciacalli che approfittando del caos generale, rubano oggetti di valore, computer e profumi di marca, appropriandosi delle case lasciate temporaneamente vuote. Arrivando fino al paradosso di una Valencia divisa tra angeli e avvoltoi: un uomo è uscito da casa propria per aiutare a spalare nel proprio quartiere, quando è ritornato a casa l’ha trovata occupata. Anche per questo motivo, è stato annunciato che dal 3 novembre sarà chiuso l’accesso ai volontari non iscritti ad ONG o associazioni accreditate. Nel frattempo il tempo non si placa ma si continua incessantemente a ripulire le strade, con la speranza sempre più fioca di poter ritrovare qualcuno degli ancora numerosi dispersi. Tra i vivi, invece, c’è chi non ha retto all’impatto psicologico di aver perso tutto. «Respirare fango, mangiare fango, passare il giorno lottando contro il fango e non sapere come affrontare la perdita economica: questo è insopportabile». Risale al sabato 2 novembre la prima vittima del post-DANA: un ragazzo si è lanciato dal secondo piano, non riuscendo a vedere altra via d’uscita dall’incubo che da giorni si vive in quella parte di costa centro-orientale della Spagna. Intanto il cielo su Valencia continua a tuonare.

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