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«Giungeremo nella Casa della Missione, fondata sull’antico Convento medievale dei Padri Crociferi. Scenderemo alcuni metri sotto il piano di calpestio per entrare nella Cripta medievale e di Sant’Elia. Vi racconteremo dell’arrivo del primo missionario vincenziano a Napoli nel ‘600 discendente di Galileo Galiei, una figura intrigante che cela alcuni misteri legati alla sua sapienza e i ai suoi rapporti epistolari. Durante la visita ne sveleremo alcuni!» Nel cuore della Napoli più popolare e storica che si possa raccontare vivono mondi differenti, stratificazioni storiche, di fede e di comunità. Il quartiere è quello della Sanità in quel borgo detto dei “Vergini” e quella Casa della Missione che i Vincenziani fanno vivere in mille modi diversi. Sta lì, custodita presso la cappella del tesoro vincenziano delle reliquie, la terza ampolla che contiene il sangue di San Gennaro. Le “prime” due sono al Duomo e sono quelle che tutti conoscono. La terza, per italiaore24.it, siamo andati a vedere dove è custodita andando a ritrovare mons. Beniamino Depalma che tra i Vincenziani (e non solo) è un punto di riferimento. Ci aspettava anche Giovanna Moresco, guida turistica, collega giornalista nonché vice presidente di un’Associazione dai nobilissimi fini che si chiama “Gettalarete”.
di francesco e noemi de rosa
A Napoli San Gennaro è una “star” da molti secoli. La disegnano sui muri in gigantografia. Sta nel cuore della gente e nella “predizione” che il suo sangue custodito allo stato solido abbia a sciogliersi due volte all’anno in mezzo a preghiere ed inni. Quasi fosse un rito scaramantico, la protezione del Santo Patrono che veglia e protegge la città. Una trama che coinvolge anche il borgo dei Vergini e la Casa della Missione dei Vincenziani che sono a Napoli proprio lì, alla Sanità. Quando vi arrivarono la città viveva un’altra epoca. Così la storia, e la voce di Giovanna Moresco che ci ha accompagnati lungo tutto il percorso che conosce a menadito, narra che il primo missionario vincenziano ad arrivare a Napoli nel 1668 fu Cosimo Galilei, nipote diretto di Galileo Galilei. Cosimo fu il primo superiore della nuova Casa Missionaria e anche custode delle carte e dei manoscritti del “Galileo”. L’intreccio si fa fitto ma anche mescola la fede popolare e la missione dei Vincenziani: stare in mezzo alla gente, assistere gli ultimi, confondersi con loro fino ad essere scambiati e chiamati “signor…” anziché quel “don” che metteva distanze. Qui Giovanna Moresco è la vicepresidente dell’Associazione Getta la Rete, che qui ha il portale, impegnata in prima linea dai Vincenziani da quando alcuni ruoli di promozione e divulgazione sono stati affidati da Vincenziani proprio a loro. Arguta guida turistica, collega giornalista nonché attivista di cultura e divulgazione, Giovanna Moresco mette sempre la passione in primo piano: condividere cultura, storia, tutti i dettagli che solo se studi con attenzione ciò di cui parli puoi spiegare e divulgare. Così nonostante la ferita del lutto che ha subito poco tempo fa con la dipartita della sua mamma, Giovanna Moresco continua ad essere in prima linea e risponde con gioia all’appello rivoltole per l’occasione proprio dal “nostro” Beniamino Depalma già vescovo di Amalfi e poi di Nola. Ora tornato nei luoghi dove fu anche ministro provinciale. Assieme a lui e a Giovanna Moresco che ci guida siamo arrivati puntuali all’appuntamento. La visita inizia nella Cappella delle Reliquie e tutta l’attenzione è rivolta alla terza ampolla che contiene il sangue di San Gennaro, il cuore del culto che la città di Napoli riserva al suo Santo Patrono. Conosciuta ancora da pochi, la terza ampolla con il sangue del martire che nato il 21 aprile del 272 morì, dove poi fu sepolto, a Pozzuoli il 29 settembre del 305.
In mezzo al dedalo di ipotesi e curiosità, Giovanna Moresco ha la capacità di rendere semplici intrecci della storia e della fede che sembrano intricati. Dice che quando nel 1759 Carlo di Borbone viene proclamato re di Spagna con il nome di Carlo III, prima di partire per Madrid, volle recarsi nel Duomo per rendere omaggio, per l’ultima volta, al santo a cui era devoto. Che la sua non è soltanto una visita di commiato, che vuole limitarsi alla preghiera. Carlo III, prima di andare via da Napoli vuole portare con sé un piccolo souvenir, una parte della stessa reliquia del santo. Nacque così ciò che molti hanno definito, senza riserva, un furto con destrezza che è anche uno dei misteri più oscuri e longevi legati alla storia del sangue di San Gennaro chiamato, non a caso, il mistero della terza ampolla. Giovanna Moresco tiene a sottolineare come l’ampolla con il sangue di San Gennaro che si trova a Madrid perché portata da Carlo III non sia mai stata certificata e che invece quella che è qui dai Vincenziani è quella certificata come terza ampolla.
L’idea, per nulla inverosimile, che nel 1759, Carlo abbia fatto manomettere la teca per prelevare una parte del sangue prodigioso e portarla in Spagna apre ad altri dubbi. Aveva l’autorità per fare ciò che, senza dubbio, è stato fatto da altri, probabilmente, prima di lui. Un dato a supporto ci arriva dallo scrittore Maurizio Ponticello, che ha scritto diversi volumi dedicati proprio al culto di San Gennaro e in alcuni di essi cita diversi episodi. Che nel 1495, per esempio, re Carlo VIII di Francia rigirò una bacchetta argentata nella boccetta per verificare che effettivamente il sangue di San Gennaro fosse ancora duro. Che nel 600 il cardinale Ascanio Filomarino fu accusato di «utilizzare la reliquia come un personale gingillo spartendone gocce, a seconda dell’umore, per gonfiare la propria boria». Che dopo la partenza di Carlo di Borbone per la Spagna, almeno una delle ampolle contenenti il sangue sarebbe stata manomessa. Di fatto si sa che «il 14 dicembre 1771 re Ferdinando IV si recò con Maria Carolina alla Cappella per i solenni ringraziamenti dopo la gravidanza della regina»; in quella occasione «la Deputazione – racconta Ponticello – donò a sua maestà un prezioso reliquiario d’oro con alcune scaglie coagulate del sangue di San Gennaro. Nei registri della Cappella si legge che i frammenti furono estratti da un antichissimo altro reliquiario conservato nel Tesoro, quasi a far credere che esistesse una teca, poi dispersa, dalla quale prendere a piacimento pezzi del santo e devolverli in omaggio a personalità, diciamo, di spicco».
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Qualcuno racconta persino che ai tempi di Carlo di Borbone le ampolle erano già sigillate alla teca con uno speciale mastice allo scopo di evitare manomissioni che avrebbero potuto comprometterne l’integrità. Vincenzo De Gregorio, abate della Cappella del Tesoro, non ha dubbi. Dice che «già da un secolo e mezzo prima del 1759, quando Carlo lasciò Napoli, le ampolle erano sigillate alla teca esterna, proprio per impedire la radicata abitudine di nobili e sovrani a caccia di reliquie di grattare un pezzetto del sangue». Tuttavia c’è chi giura che nonostante questo Carlo parte sia partito con i grumi immortali del santo martire, custoditi in un reliquiario d’oro. Ma i dubbi restano, tutti, proprio sulla autenticità del sangue che Carlo portò con sé. Non a caso «che quello portato via da Carlo di Borbone sia vero sangue di San Gennaro non è dimostrato. E non è dimostrabile», afferma Pietro Treccagnoli, altro studioso del sangue e del culto di San Gennaro, che pure ha scritto sull’argomento tanti articoli.
Presso il Complesso Monumentale Vincenziano al Borgo Vergini, nel cuore del Rione Sanità i volontari dell’associazione Gettalarete, Giovanna Moresco per prima, sono pronti a confermare che a garantire l’autenticità dell’ampolla custodita dai Vincenziani c’è soprattutto il documento del 1793 firmato dal vescovo di Ferentino, nel Frusinate, dove vi è traccia circa la donazione della reliquia ai padri della Congregazione della Missione di Napoli. Come poi una reliquia con il sangue di San Gennaro sia arrivata da Ferentino per fare ritorno nella stessa città dove era partita resta un mistero. Come c’era finito il sangue di San Gennaro a Ferentino? Come si trovava quell’ampolla il vescovo di Ferentino? E come mai decise di disfarsene. Quesiti attorno ai quali continua ad indagare la ricerca storica ma anche i più attenti osservatori che hanno abiti talari. Una storia che attraversa secoli di storia e arriva fino a noi nel racconto fatto di passione e dovizia che Giovanna Moresco ha voluto condividere con noi.
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