Dal mare di sabbia della Namibia ripreso dai radar con la distesa di dune che si trova lungo la costa occidentale dell’Africa meridionale, non lontano dalla città di Luderitz, in Namibia alla deforestazione nella Repubblica Democratica del Congo – un tempo Zaire – che appare così com’è in una foto scattata dallo Space Shuttle Endeavour nel 1992 dove le aree più chiare sono zone coltivate, quelle più scure sono macchia forestale. Ma c’è anche una regione quasi disabitata del Sudan in una foto del 1994. E c’è il delta dello Zambesi, il quarto fiume più lungo d’Africa, con i suoi 2.574 km che sfocia nell’Oceano Indiano, lungo le coste del Mozambico, e qui lo si vede in una tavolozza di tonalità di azzurro, in uno scatto del 2013. Questi ed altri luoghi dell’Africa da custodire che, al contrario, sono a rischio.
Tutto scritto e documentato in uno studio pubblicato su Nature Climate Change frutto di un lavoro enorme compiuto da un team guidato da Michalis Vousdoukas, del Joint Research Center della Commissione Europea, che ha identificato ben 300 siti di interesse e calcolato i rischi concreti che molti di questi questi siti rischiano. Potrebbero scomparire nei prossimi decenni a causa dei cambiamenti climatici. Lo studio mette nero su bianco. Il continente africano così ricco di siti, sia di carattere naturale sia culturale, considerati patrimonio mondiale tra zone costiere isole e atolli è a rischio con l’aumento delle temperature causerà nei prossimi anni un innalzamento del livello dei mari, e più della metà dei siti africani rischia, per farla breve, di finire sott’acqua.
I siti identificati nel lavoro del team non sono quelli dell’UNESCO che di siti in Africa ne ha designati e messo nel patrimonio mondiale ben 147 in tutto il continente africano, la maggior parte dei quali di carattere culturale. Il nuovo studio ne ha invece individuati ben 284 dei quali 213 sono di carattere naturale e ben 71 sono di carattere culturale. Si tratta di siti presenti (tutti) sulle coste del continente come riportato sui media. In elenco ci sono zone archeologiche (il nord del Sinai, le rovine di Tipasa in Algeria) luoghi naturalistici come l’isola di Kunta Kinteh o l’atollo corallino di Aldabra, il secondo più grande del mondo. Un patrimonio naturale che è stato confrontato con due modelli climatici usati dall’IPCC: il cosiddetto “scenario intermedio”, quello nel quale le emissioni di gas serra raggiungeranno l’apice nel 2040 per poi cominciare a declinare e dimezzarsi entro il 2050. Ebbene. I risultati non sono per nulla confortanti. Al momento ci sono già 56 siti su 284 che rischiano di venire colpiti da un “1-in-a-100-year event”, un evento talmente estremo (in questo caso un’inondazione di portata molto superiore alla media) che se ne verifica uno ogni 100 anni. La “catastrofe centenaria” – come riporta assai bene Focus – è un riferimento importante quando si parla di cambiamenti climatici. Lo studio prevede che nel 2050, indipendentemente dallo scenario utilizzato, i siti che rischiano di venire colpiti da eventi di questo tipo saliranno a 191, di cui 151 naturali. Dal Camerun alla Libia, al Mozambico dove la certezza di subire almeno un’inondazione estrema entro la fine del 2100 è condivisa da molti. Una situazione quella delle emissioni che se non dovesse migliorare, modificherà anche gli equilibri in Costa d’Avorio, Tanzania, Sudan, Capo Verde. Sicché saranno eventi di questo tipo a determinare un danno irreparabile, quando non letale, ai siti che lo studio ha individuato.