di Claudio Bertolotti | ISPI Associate Research Fellow |
Il 28 luglio il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha accolto a Tianjin una delegazione talebana guidata dal capo dell’ufficio politico di Doha, il mullah Abdul Ghani Baradar; incontro che rientra in un percorso politico che da tempo lega i due attori: da una parte la Cina, in cerca di rassicurazioni e garanzie, dall’altra i talebani, che inseguono – e ottengono – un riconoscimento sul piano delle relazioni internazionali e della diplomazia. Un fatto che si inserisce in un momento molto delicato per il governo afghano, ormai prossimo (da ieri 15 agosto 2021 appena avvenuto ndr) al collasso di fronte all’avanzata militare dei talebani che stanno occupando i valichi di frontiera e conquistando il paese distretto dopo distretto, mentre i colloqui di pace nella capitale del Qatar e quelli in corso in Iran non hanno fatto progressi sostanziali e si stanno dimostrando solamente occasioni di umiliazione per il governo afghano guidato da Ashraf Ghani.
Ufficialmente Wang Yi e il mullah Baradar hanno discusso di sicurezza e del processo di pace afghano, con un invito da parte cinese rivolto ai talebani affinché “svolgano un ruolo importante nel processo di riconciliazione pacifica e di ricostruzione in Afghanistan”.
Un incontro che, sebbene presentato dalla stampa internazionale come evento eccezionale, in realtà non deve sorprendere perché è parte di un consolidato percorso diplomatico che ha interessato informalmente la Cina e i talebani fin dall’inizio dell’occupazione statunitense, per poi spostarsi in epoca più recente sul piano formale. Ricordiamo il primo incontro ufficiale tra le due parti, nel maggio 2015: da allora le occasioni di dialogo si sono fatte sempre più numerose.
Questo perché, se da un lato i talebani guardano agli attori regionali come partner e per un riconoscimento internazionale (che un giorno potrebbe trasformarsi nella copertura diplomatica cinese presso il Consiglio di sicurezza dell’ONU), dall’altro lato, i cinesi osservano l’Afghanistan con grande interesse per una serie di motivi, consapevoli del fatto che i talebani possono far sì che gli interessi di Pechino nel paese siano garantiti oppure no. Quali sono i motivi concreti per i quali la Cina è disposta a dialogare con i talebani?
Il primo è la ricerca cinese di un’area di influenza da sottrarre agli Stati Uniti, che si stanno di fatto disimpegnando dal paese, e che, in un’ottica di competizione con l’India, consenta a Pechino di avere una continuità territoriale che dal Pakistan all’Afghanistan permetta di creare un ponte commerciale diretto con l’Iran e la Russia.
Il secondo è un più ampio margine di manovra nella tutela degli interessi legati alla Nuova Via della Seta che ha una diramazione in Pakistan e garantisce uno sbocco marittimo a sud: e un Afghanistan sicuro è una garanzia per gli investimenti cinesi perché un’amministrazione stabile e cooperativa a Kabul aprirebbe la strada a un’espansione della Nuova Via della Seta in Afghanistan e attraverso le repubbliche dell’Asia centrale.
Il terzo motivo è strettamente legato alla sicurezza interna della Cina, nello specifico l’opposizione violenta di alcuni gruppi jihadisti tra la comunità uigura dello Xinjiang e la conseguente politica repressiva del governo cinese. La frontiera tra i due paesi è lunga solamente 76 chilometri – e ad alta quota e priva di un collegamento stradale – ma Pechino teme che l’Afghanistan possa essere usato come base logistica per i separatisti e i jihadisti uiguri, con il sostegno degli stessi talebani. Ed è per questo che Wang Yi ha chiesto ai talebani di agire con determinazione e in qualunque modo per eliminare i gruppi uiguri presenti in Afghanistan, con esplicito riferimento al gruppo terrorista noto come movimento islamico del Turkestan orientale (ETIM, East Turkestan Islamic Movement), che Pechino considera una minaccia diretta alla sicurezza nazionale.
Infine, il quarto è un motivo strategico di natura economica: la Cina detiene la maggior parte dei diritti estrattivi dal sottosuolo afghano e l’Afghanistan, oltre ad essere ricca di idrocarburi – è cinese l’azienda che per prima ha estratto petrolio nel paese – è forse la più ricca miniera al mondo a cielo aperto di minerali preziosi e minerali rari, strategicamente importanti per l’economia cinese che avrebbe accesso diretto a una ricchezza dal valore potenziale di 3 trilioni di dollari. Ma l’Afghanistan deve essere stabilizzato per consentire l’accesso cinese all’area, e qui entrano in gioco i talebani ai quali sarebbe garantito il riconoscimento politico e l’accesso agli ampi guadagni derivanti dalle attività estrattive e commerciali.
I talebani hanno garantito ai cinesi che l’Afghanistan non sarà utilizzato da gruppi terroristi per colpire altri stati (e dunque la Cina). Ma è bene ricordare che sono gli stessi talebani che pochi mesi fa hanno garantito agli Stati Uniti che avrebbero cessato le violenze per dialogare con il governo afghano. Non dobbiamo farci illusioni, né essere sorpresi per l’interesse cinese per l’Afghanistan.