Erdoğan è il tiranno che tiene in scacco la Turchia. Colui che della Convenzione di Instanbul a favore delle donne e degli omosessuali ha detto «Danneggia i valori della famiglia tradizionale». E l’Europa non pare riuscire a fronteggiare gli atti governativi e tutto ciò che in Turchia diventa limitazione ai diritti fondamentali dell’uomo.
di noemi de rosa |
TURCHIA – È con un decreto presidenziale che il 20 marzo Ankara si è ritirata dalla “Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica”, passata alla storia come Convenzione di Istanbul, facendo riferimento alla città in cui l’11 aprile del 2011 si iniziarono a raccogliere le firme degli stati aderenti. Tra le firme c’era anche quella del presidente turco Erdoğan, ed è lui stesso a ritirarla, a distanza di dieci anni.
Nel 2012 la Turchia era stato il primo paese a ratificare il documento della Convenzione, che è entrata ufficialmente in vigore dal 2014 – anche se, secondo la piattaforma civile “We Will Stop Femicide Platform” non è stata mai realmente applicata. La Convenzione, firmata da altri 30 paesi, è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante per proteggere le donne da qualsiasi tipo di violenza, dallo stupro coniugale alla mutilazione dei genitali femminili. Di fatto, la Convenzione riconosce la violenza sulle donne come una violazione dei diritti umani, oltre che come una forma di discriminazione. Inoltre, la Convenzione intende promuovere anche l’eliminazione delle discriminazioni per raggiungere una maggiore uguaglianza tra uomini e donne.
A detta di alcuni analisti la decisione di Erdoğan segue il suo “nuovo” stile, sempre più autoritario e conservatore. Infatti, sebbene qualche anno fa Erdoğan abbia spesso menzionato la Convenzione come dimostrazione concreta dei progressi della Turchia in merito alla parità di genere, ad oggi Erdoğan ed il suo partito – l’AKP – ritengono che la Convenzione di Istanbul vada contro le norme dell’Islam, incoraggiando all’omosessualità ed al divorzio. E mentre in alcuni tweet il vicepresidente turco, Fuat Oktay, ha asserito che il cammino da seguire per «elevare la dignità delle donne turche» sia da ritrovare «nelle nostre tradizioni e nei nostri costumi», il leader del partito socialdemocratico CHP, Kemal Kilicdaroglu, ha anticipato la sua intenzione di ricorrere al Consiglio di Stato di Ankara per opporsi al decreto. «Difenderemo i diritti delle donne fino alla fine», ha inoltre aggiunto. Nel frattempo le donne sono scese a rivendicare i loro diritti, e non solo da questa settimana. Già da mesi le donne turche erano scese in piazza a manifestare, in quanto in Turchia si parlava già da più di anno del ritiro del paese dalla Convenzione, che si è poi concretizzato solo il 20 marzo scorso. In un paese in cui, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, almeno il 40% delle donne turche è vittima di violenza compiuta dal proprio partner (rispetto alla media europea del 25%), le donne turche non resteranno a guardare.
La scrittrice Elif Shafak ha chiaramente espresso il proprio dissenso, bollando il ritiro dalla Convenzione di Istanbul come una vera «dichiarazione di guerra alle donne». Secondo la scrittrice turca «abbandonando la Convenzione, il governo turco sta sfidando lo stato di diritto, i diritti umani e l’uguaglianza di genere». Da una manifestazione nella città Istanbul è stato già lanciato lo slogan delle proteste: “Ritira la decisione, rispetta la Convenzione”. A gridarlo in piazza ci sono donne di ogni età e di ogni convincimento politico che non intendono arrendersi e che rivendicano a gran voce i propri diritti. A sostenerle ci sono anche le massime funzionarie dell’Unione Europea: Marija Pejčinović Burić, segretaria generale del Consiglio d’Europa, ha dichiarato il suo rammarico per la decisione del Presidente Erdoğan di ritirarsi dalla Convenzione, avvenuta senza alcun dibattito parlamentare, sostenendo che con questo ritiro la Turchia priverebbe le proprie donne di uno strumento fondamentale per contrastare la violenza di genere. Anche la presidente della Commissione dell’Unione Europea, Ursula von per Leyen, in un tweet ha espresso la propria amarezza, esortando pubblicamente la Turchia a revocare la decisione presa.