E se riconoscessimo il femminile che c’è in tutti noi?


di antonio de simone | sociologo


In questi giorni c’è stato un intensificarsi d’interventi su quella che comunemente è definita la questione femminile, complice la ricorrenza dell’otto marzo. Con questo mio contributo, certamente atipico, vorrei indicare un modo per sciogliere quello che considero un nodo vitale per l’umanità tutta. Spesso mi capita di soffermarmi sulle differenze tra i generi, di studiarne i motivi di questa non facile se non difficile interazione/convivenza dei troppi avvenimenti negativi e cruenti che ne conseguono. Nella civiltà che fu definita classica, l’eredità indoeuropea e quella preindoeuropea si mescolano inestricabilmente perpetuando la memoria del grande confronto/scontro che fu all’origine della nostra storia, un sistema simbolico patriarcale. La traccia più preziosa di questa mescolanza ci viene fornita dalla religione della Grecia classica. Alle divinità maschili indoeuropee del cielo (Zeus) e della guerra (Ares), infatti, si accompagnano e si contrappongono sia le divinità femminili eredi del mondo neolitico, le dee della Terra, della fecondità e dell’invenzione (Gaia, Demetra, Persefone, Atena, Artemide, Ecate), sia le figure enigmatiche di talune divinità maschili (Hermes, Pan, Dioniso) rilevatesi anch’esse un’eredità delle civiltà precedenti: dietro l’apparente armonia del Phanteon classico, emerge in molti punti una dualità religiosa profonda e radicata.*

Se volessimo dare il giusto peso alle tesi di chi ha diffuso il termine matriarcato, lo studioso tedesco J.J.Bachofen, dovremmo condividerne l’intuizione di una società e di una struttura di pensiero altro, sepolte nel remoto passato della storia europea. Di fatto, egli sosteneva che molto probabilmente nell’Europa antica la linea di discendenza era stata matrilineare. Presto, invece, il termine matriarcato fu esteso per indicare tutte le società che nella loro vita comunitaria prescindessero da orientamenti patriarcali, società poi rivelatesi presenti (diffuse) in tutto il mondo allora noto. Anche per le Amazzoni che rappresentano, nell’immaginario collettivo, la personificazione dello spietato potere femminile (..uccidevano gli uomini o li mutilavano e li rendevano schiavi, cit. Iliade) si può accedere a un’altra interpretazione. Per Plutarco sono per natura amanti degli uomini, quando Teseo entra nel loro territorio, non fuggono e gli mandano doni ospitali. Teseo fa salire sulla nave l’Amazzone che portava i doni e la rapisce; per vendicare la loro compagna, le Amazzoni invadono l’Attica e penetrano in Atene, ma vengono sconfitte da Teseo. Applicando le chiavi di lettura messe a nostra disposizione dall’archeologa lituana Marija Gimbutas, possiamo guardare in modo diverso i sistemi socio-politici di quelle realtà, dove sono state messe in atto regole a guida congiunta. Le caratteristiche che ci colpiscono maggiormente, tra quelle evidenziate dagli scavi, riguardano l’ubicazione degli agglomerati abitativi e alla struttura dei palazzi del potere. Aver scelto per stanziare la vicinanza ai corsi d’acqua o al mare, non preoccupandosi di occupare posizioni in alto, in punti di controllo del territorio e di vedetta per prevenire assalti di altre popolazioni, ci evidenzia l’aspetto pacifico di questi popoli. A Creta, grazie agli scavi che hanno portato alla luce importanti costruzioni, al loro interno, quello che più risalta è la disposizione e la cura degli spazi, considerati dagli esperti, frutto di sapienti conoscenze delle tecniche architettoniche. Un esempio a noi vicino è la Sardegna, qui si affermò uno stile di vita, definito matriarcale ma di fatto gilanico, nel periodo che comprende il Neolitico e l’Eneolitico (6.000 – 1.500 a.C). Partendo dagli studi della Gimbutas, ci viene in aiuto la sua esegeta Riane Eisler che per descrivere i sistemi che rispondono a queste caratteristiche, utilizza nuovi concetti quali Gilania che è in contrapposizione a Androcazia (e non Patriarcato).

Le testimonianze architettoniche, i manufatti ci confermano che a partire dal settimo-sesto millennio a.C., le popolazioni di diversi altri insediamenti come Creta, intere aree dell’Anatolia, della Palestina, ecc. avevano scelto per guidare il loro corso, del personale politico e religioso (che spesso coincideva) di entrambi i sessi: questa lunga fase storica è definita come quella della civiltà della Grande Dea. Erano i valori mutuali da Lei indicati che costituivano il solco nel quale agire.

Qualche raro e ristretto esempio, riferibile a questa impostazione, lo possiamo individuare anche ai giorni nostri, uno è rappresentato da quanto accade a Kihnu e a Manija, due piccole isole estoni situate nel mar Baltico. Esse sono abitate da quella che è identificata come una comunità chiusa, dove vigono abitudini molto antiche che si manifestano in numerose usanze. L’arcipelago è considerato l’ultima comunità matriarcale in Europa. Analizzandone le modalità si può parlare anche qui di comunità a guida gilanica. La maggior parte dell’anno, infatti, gli uomini lo trascorrono in mare: sono impegnati nella pesca e nella caccia alle foche, non possono svolgere attività amministrative. Alle donne sono affidati vari lavori manuali, quelli della casa ai quali si aggiungono quelli della stalla e della terra; ma non finisce qui, anche le responsabilità politiche e amministrative sono a loro totale appannaggio per buona parte dell’anno.  A seguito di questo excursus volutamente breve un’ultima, necessaria puntualizzazione. Quando si parla di modello sociale contraddistinto dal maschile o dal femminile, ci si riferisce soprattutto ai valori che i due generi rispecchiano. Per questo ritrovarne alcuni invece che altri è fondamentale per la civiltà che si voleva o si vuole costruire. Questa problematica all’inizio mi era sembrata difficile da affrontare poiché il patriarcato aveva imposto valori totalmente maschili facendoli passare come gli unici possibili. Sono stati i numerosi indizi che ho potuto apprendere nel consultare i testi degli autori che ho citato che mi hanno aperto questa nuova prospettiva. La prima indicazione che ho potuto raccogliere è nel metodo: allungando il percorso storico e recuperando reperti e riferimenti di alcuni millenni precedenti al 4000 a.C., ho potuto ampliare e quindi migliorare le mie premesse antropologico – culturali. In altre parole quello che noi prima (della Gimbutas) attribuivamo, in un senso o nell’altro, c’era suggerito dall’analisi di avvenimenti svoltesi a partire dal 4.000 a.C., cioè dopo il declino e la scomparsa dei più significativi insediamenti della civiltà della Grande Dea. Il cambiamento arriva da nord-est, dalle regioni caucasiche e dal Mar Nero, quella che oggi chiamiamo Asia. Lo portarono le popolazioni pastoral-guerriere, definite kurganiche, che spingevano da quei confini per conquistare una civiltà molto più evolute della loro. La forza delle armi di cui si servirono si tradusse in un nuovo modo di esercitare il potere, quello poi definito Patriarcale anche se, in realtà, Androcratico. Anche se ci fu una commistione culturale, grazie anche alle acquisizioni di parti importanti della civiltà che andarono a sottomettere, riscriveranno sostanzialmente la Storia a modo loro. Conquistano, distruggono e impongono alle donne, private dei loro uomini, uccisi o resi schiavi, i loro costumi di segno opposto. Questo spiegherebbe perché dopo questo lungo lasso di tempo, che si conclude solo qualche decennio fa, i risultati raggiunti con la Gilania, siano stati sconosciuti dagli acculturati appartenti ad entrambi i sessi. E con essi le modalità di condurre congiuntamente il potere, certamente, il fatto, che questo non sarebbe stato possibile se non ci si fosse ascoltati, confrontati, riconosciuti per le rispettive diversità. Mi è capitato spesso, in vari corsi a cui ho partecipato, che queste appena citate abilità fossero annoverate come propensioni valoriali del femminile, indipendentemente dall’appartenenza di genere di chi ne facesse buon uso. In conclusione per l’importanza degli obbiettivi che si prospettano, oggi come qualche millennio fa, è propedeutico recuperare e rilanciare la mutualità tra i generi. Per ripartire, con convinzione, v’invito a riconoscere il femminile che c’è in ognuno di Voi!

*Riane Eisler “Il Calice e la Spada” FORUM Edit. Univers. Udinese, Rif.presentazione M.Cerruti

One thought on “E se riconoscessimo il femminile che c’è in tutti noi?

  1. L’interessante e profonda analisi del
    De Simone, sostenuta da rilevanti testimonianze socio-antropologiche ci induce a riflettere che già nelle società antiche le differenze di genere si stemperavano in una mutualità di ruoli e di azioni tendenti a un unica prospettiva sociale. La lettura si fa apprezzare anche per l’invito a riconoscere il femminile che c è dentro di voi

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