di Girolamo De Simone
Torna a Napoli la musica contemporanea. In una stagione di rilievo, con giovani che determinano in tal modo la continuità di una scuola esecutiva e compositiva di tutto rispetto. Ovunque si parla – fortunatamente – di Settecento napoletano, ma se sapessimo e volessimo valorizzare e salvaguardare davvero i patrimoni musicali cittadini dovremmo guardare anche all’Ottocento, al Novecento e constatare che esiste una sostanziale ‘continuità’ immaginativa tra queste differenti produzioni e l’attuale situazione, con un destino personale dei singoli autori anche molto variegato. Alcuni hanno forzosamente preso una strada che potremmo definire di ‘emigrazione’ (si sta naturalmente massimizzando); altri, di ‘emigrazione interna’, come avrebbe potuto definirla Thomas Mann. Il fenomeno mi consente di aprire una chiosa sui rapporti culturali tra l’estero e la città: si polemizza moltissimo sul copia-copia dei tedeschi a danno degli italiani. Ma tra questi due insiemi c’è forse contiguità, assimilazione, non semplicemente e non sempre plagio estetico.
Un magnifico volume ha mostrato come la Teoria critica, legata alla scuola di Francoforte, sia in realtà nata a Napoli, nelle intuizioni di Adorno, Benjamin e altri. Il medesimo volume (“Adorno a Napoli”, di Martin Mittelmeier, per Feltrinelli) ha ritrovato il seme della nozione stessa di “città porosa” in aforismi e diari di quei grandi estimatori tedeschi, della vita e delle profondità, quasi di ghiaccio e quasi spaventevoli, intrecciati a luoghi della città, al Vesuvio, ai suoi dintorni (isole incluse). Il ‘vulnus’ di quello studio è nel considerare quella linea come spezzata, ignorando che qui a Napoli il medesimo concetto è fiorito in una pluralità di voci e in almeno un libro imprescindibile, “La città porosa”, edito da Cronopio qualche anno fa (1992). Ma di ciò ci occuperemo altrove.
La musica contemporanea torna in città. Non vi dico subito dove, né vi dico subito con chi e ad opera di quali giovani o associazioni, meritevoli attivatori di questa operazione magmatica e visionaria. Parto da un autore in grado di contendere a Mann densità di scrittura, primati e intuito saggistico (col suo “Il Kitsch”, Einaudi 1990, poi ristampato varie volte). Mi riferisco all’austriaco Hermann Broch, che in un ponderoso romanzo dedicato a Virgilio lega il ghiaccio e la morte a Napoli, così come dovette essere negli occhi di quel sommo Poeta: “Oh, la tomba era scherno di se medesima, anch’essa scherno dell’illusione che egli non aveva voluto abbandonare, scherno della sua speranza infantile, per cui egli si era immaginato che la silenziosa immobilità della baia di Napoli, la serena e assolata vastità del mare, l’immenso splendore dell’acque che gli ricordava la luce del paese natio, tutta questa forza del paesaggio avrebbe dolcemente protetto la sua morte, l’avrebbe trasformata in una musica mai eseguita, mai eseguibile, che doveva far sì che la vita, protesa all’ascolto e per sempre ascoltata, si risvegliasse nella morte” (H. Broch, “La morte di Virgilio”, Feltrinelli 1962). Si tratta di due campi, vita e morte, che profondamente si mescolano generando un’amalgama unitario, che non è “né aria né acqua”, e sfugge via tra le dita “come aride stille”. E a qualcosa del genere penso quando constato quanta musica espressa, oppure ineseguita, eseguibile e anche non eseguibile, ma percorribile nella mente che vagheggia immagini, questa città abbia prodotta.
Il Settecento partenopeo è ormai ben rappresentato. Ma l’Ottocento scomparso. Qualche esempio? Il più facile è quello di uno dei padri del futurismo musicale, che non ha nemmeno una scheda su Wikipedia: Daniele Napoletano, nato a Saviano nel 1872 e morto a Napoli nel 1943, che conosco solo grazie al lavoro di Daniele Lombardi. Fututurista, certo, ma in grado di scrivere canzoni di successo, e persino il San Carlo, più attento allora ai musicisti contemporanei, gli rappresentò un’opera, “Il profeta velato”, nella stagione 1892-93. Compose cinquanta “Estratti musicali” nello stile del ‘ricercare’, sui nomi dei futuristi Marinetti, Cangiullo e altri. Estratti rappresentati (naturalmente a Milano) nel 1933 al circolo “Nazario Sauro”. Altri compositori napoletani o d’area partenopea attivi tra Ottocento e Novecento, noti solo a pochi ‘addetti ai lavori’: Costantino Palumbo (Torre Annunziata 1843 – Napoli 1928); Michele Esposito (Castellammare 1855 – Firenze 1929: dopo aver studiato al Conservatorio di Napoli si trasferì alla soglia dei trent’anni a Parigi, approdando poi con successo in Irlanda); Vincenzo Romaniello (Napoli 1858 – Napoli 1932… maestro del celebrato Renato Carosone, visse anche a Somma Vesuviana: chi scrive gli dedicò un disco e una colonna sonora nel 2010); Alfredo D’Ambrosio (Napoli 1871 – Nizza 1914… si firmava ‘Alfred’ e raccolse riconoscimento all’estero; qualche sua armonizzazione ispirò Rota e forse Morricone); Antonio Savasta (Catania 1873, ma studiò e morì a Napoli nel 1959 nonostante avesse diretto per anni il Conservatorio di Palermo). Ci sono poi i pianisti/compositori, di cui ormai si rammentano a torto solo lavori didattici: Beniamino Cesi (Napoli 1845 – Napoli 1907); Florestano Rossomandi (la cui “Guida” pianistica edita da Simeoli è ancora usata persino da un genio del jazz come Chick Corea… Bovino 1857 – Napoli 1933); Giuseppe Martucci (l’unico ancora eseguito, ma poco e spesso male… Capua 1856 – Napoli 1909); Alessandro Longo (Amantea 1864 – Napoli 1945)… e tantissimi altri.
Ed eccoci tornare alla musica contemporanea, che rientra in città, nuova e rara occasione per ascoltare esiti di questo lungo cammino appena qui accennato, talvolta prestigioso, più spesso tormentato. Una rassegna che apre uno spiraglio, una flebile boccata d’ossigeno, dacché giovani di talento hanno meritato spazio al fianco di nomi prestigiosi, nella programmazione di un cartellone condiviso dall’Associazione Rachmaninov (che opera prevalentemente a Salerno e dintorni) e dall’Associazione “Amici del Settecento napoletano”. Il Festival s’intitola “Le note del Chiostro 2020”; giunto alla terza edizione nel Chiostro di San Lorenzo Maggiore a Napoli in Piazza San Gaetano 318, è coadiuvato anche da altri Enti e associazioni.
Gli autori contemporanei eseguiti pressoché tutti in prima assoluta sono Tiziano Citro, con il suo “Omaggio a Ludwig” (Solisti del Teatro alla Scala, pianista Emilio Aversano, sabato 29 agosto alle 20:30) e Luciano Cilio (1950-1983), con opere tratte dallo storico Album “Dialoghi del presente” del 1977 (dal bravo e già autorevole pianista Andrea Riccio, venerdì 4 settembre, sempre alle 20:30). Andrea Riccio, che oggi studia al Mozarteum di Salisburgo, ci propone la Sonata op. 110 di Beethoven e le godibilissime opere di Prokofiev e Albeniz (interpreta, infine, dopo i suoni di Luciano Cilio, anche un brano di chi scrive questa nota).
Altri Concerti, sempre prestigiosi, sono previsti per il 5 settembre (Ottoni della Cappella musicale Pontificia) e il 12 settembre (Ensemble del Settecento napoletano, con le Quattro stagioni di Vivaldi solista Anania Maritan e voce recitante di Amedeo Colella). Il tutto con direzione artistica di Marco Traverso.
Info per le necessarie prenotazioni: 3479271097. Online: www.postoriservato.it